giovedì 28 ottobre 2010

Rischi per la salute legati ai ripetitori

I ricercatori svedesi Vini G. Khurana, Lennart Hardell, Joris Everaret, Alicja Bortkiewicz, Michael Carlberg e Mikko Ahonen hanno analizzato la crescente esposizione della popolazione alle microonde e alle radiazioni da radiofrequenza emessa dalle tecnologia di comunicazione wireless, compresi telefoni cellulari e relative stazioni di ripetizione per indagare i possibili effetti nocivi sulla salute.

Hanno analizzato tutti gli studi scientifici pubblicati su questo argomento, tramite il motore di ricerca PubMed, identificando così un totale di 10 studi epidemiologici sugli effetti dei ripetitori sulla salute. Sette di queste pubblicazioni esplorano la correlazione tra la vicinanza alle stazioni base dei ripetitori e gli effetti neuro-comportamentali, mentre altre tre pubblicazioni indagavano sugli effetti relativi al cancro.

Il gurppo di ricerca ha così scoperto che otto dei 10 studi riportano un aumento della prevalenza di aumento di sintomi neuro-comportamentali o di tumore in chi vive a meno di 500 metri dai ripetitori.

Nessuno degli studi aveva riscontrato livelli di campi elettromagnetici superiori a quelli considerati sicuri dagli standard internazionali, suggerendo così che questi standard possano essere insufficienti a tutelare la salute dei cittadini e che sia necessario abbassare i limiti di esposizione.

I ricercatori, che hanno pubblicato l'esito del loro studio sull'International Journal of Occupational and Enviromental Health (Vol 16, No 3, 2010), sono convinti che siano necessari studi epidemiologici che valutino gli effetti a lungo termine dell'esposizione a ripetitori dei cellulari, per poter avere un'urgente e più definita comprensione sul loro impatto sulla salute.

domenica 24 ottobre 2010

Vaccinazione anti-influenzale: necessaria per le associazioni mediche, ma su che basi?

Di recente diverse organizzazioni mediche statunitensi hanno proposto una vaccinazione obbligatoria contro l'influenza per i lavoratori del settore sanitario. Tra queste la National Patient Safety Foundation, la Infectious Diseases Society of America, la Society of Healthcare Epidemiologists e anche l'Accademia Americana dei Pediatri, che rappresenta oltre 60 mila specialisti del settore.

Nel gennaio 2010 un sondaggio del Centro per il Controllo delle Malattie degli Stati Uniti aveva osservato che il 37% dei lavoratori del settore sanitario si erano vaccinati contro l'influenza suina (ceppo A) e il 35% aveva fatto sia la vaccinazione per questa che per l'influenza stagionale (ceppo B). Secondo diversi esperti queste percentuali sarebbero troppo basse ed esporrebbero gli stessi pazienti a rischio del contagio con questi virus.

A dispetto dei continui allarmi sui rischi di mortalità per influenza e dei costi sociali legati ai ricoveri ospedalieri, non esistono basi scientifiche certe per sostenere che la vaccinazione abbia un'efficacia rispetto al problema del contagio. Una ricerca condotta da scienziati dell'Università di Calgary in Canada e della Fondazione The Cochrane Collaboration su personale sanitario addetto all'assistenza di anziani, ha evidenziato, che "non esistono prove che la vaccinazione anti-influenzale del personale sanitario prevenga l'influenza (diagnosticata in laboratorio), la polmonite e la morte da polmonite negli anziani residenti in una struttura di lungo degenza.

Lo stesso studio, che è stato pubblicato nel giugno 2010, ha anche suggerito che altri interventi come lavarsi le mani, indossare maschere o una diagnosi precoce con strisci nasali o uso di anti-virali, nonché la quarantena, le restrizioni alle visite e richiedere ai lavoratori con sintomi simili all'influenza di non recarsi al lavoro potrebbero proteggere gli anziani pazienti, anche se sono necessari studi di lungo termine e randomizzati.

Se non ci sono certezze in merito alla reale necessità della vaccinazione per il personale sanitario e se esistono forse azioni di prevenzione del contagio di questo tipo "a costo zero", perché le associazioni mediche insistono con la necessità della vaccinazione?

La ricerca - di cui poi si sente eco nella divulgazione sui mass media - è nelle mani dell'industria farmacautica che ovviamente non ha interesse a studiare e sviluppare strategie alternative alla vaccinazione. Serve una ricerca indipendente, condotta da istituti pubblici senza conflitti di interessi.

Fonti