lunedì 22 dicembre 2008

Spazi di libertà

La libertà è un’illusione benefica che guida le nostre azioni. Non esiste una libertà assoluta perché la stessa esistenza comporta regole a cui non ci si può sottrarre: respirare, mangiare, morire.

All’Uomo non resta altro che conquistarsi degli spazi di libertà oppure dare senso alla propria privazione di libertà, attraverso la religione e la filosofia. La confessione cattolica, per esempio, giustifica l’assoggettazione dolorosa dell’Uomo a Dio con il concetto di “peccato originale”, a causa del quale tutti saremmo condannati ad un’esistenza faticosa nella quale ricercare la redenzione.

In generale, per le religioni la libertà è principalmente la possibilità di scegliere tra bene e male. Più interessante, invece, la libertà intesa come possibilità di conoscere per poi decidere consapevolmente. Il primo obiettivo da perseguire per essere liberi, infatti, è la comprensione dei limiti entro i quali si distendono degli spazi di libertà nella propria dimensione interiore, sociale e materiale.

Si arriva a conquistare dei territori di libertà, e persino ad allargare il margine di certi limiti, attraverso la conoscenza, la tecnica e la mobilitazione sociale. Certe libertà diventano con il tempo scontate e si dimentica che sono state acquisite grazie a pressioni politiche e battaglie culturali. Di contro, l’assenza di certe libertà talmente diffusa e “normalizzata” da non essere percepita, pur essendo fortemente vincolante.

La libertà, infatti, così come anche la ricchezza e il benessere, sono condizioni che risentono della percezione soggettiva e dell’immaginario collettivo. Si può essere costretti, anche fisicamente, ma sentirsi liberi oppure identificarsi con modelli di libertà e dimenticarsi di non esserlo.

Generalmente la libertà percepita si riduce sostanzialmente a salute e disponibilità economica che permettono di acquistare beni e servizi, viaggiare, sfruttare a pieno il tempo libero. C’è scarsa attenzione verso la libertà di pensiero, di informazione, di espressione, di socializzazione, di partecipazione democratica.

Così percepita, la libertà è funzionale al sistema economico perché ne alimenta lo sviluppo (quantitativo). E’ lo stesso sistema sociale a promuovere la libertà come valore condivisibile, finendo poi per organizzare e suggerire gli ambiti entro i quali questa libertà si può e si deve manifestare. Lo dimostra il modo in cui è emerso il concetto di tempo libero, cioè fuori dall’impegno lavorativo o formativo, che di fatto è una dimensione da riempire, quasi infarcire, di azioni consumabili: andare al cinema, al teatro, al ristorante, fare sport, palestra, andare ad una mostra, fare shopping, una gita turistica, ecc. Il tempo libero è codificato ai fini del consumo e così non è più tale.

Persino i bambini sono privati della loro libertà di sperimentare, sbagliare, riprovare, immaginare. La loro agenda prevede pomeriggi di sport, corsi di musica, catechismo, ecc. I loro giochi sono programmati con obiettivi formativi e ludici. Stretti in questi percorsi precostituiti e standardizzati, i bambini crescono come adolescenti stanchi e annoiati, pieni di energie inespresse, poco curiosi e poco critici, fisicamente e intellettualmente inesperti.

Questi adolescenti sono pronti, così, ad affrontare la propria naturale ribellione generazionale con tutte le incertezze e carenze che li rendono perfetti candidati alla realizzazione personale e alla costruzione della propria identità per mezzo del consumo.

L’adolescenza è, in realtà, la condizione psicologica e umana più favorevole al consumo tanto che i media e la pubblicità si rivolgono ai consumatori come se fossero eterni adolescenti. In uno spot televisivo un padre trentenne è talmente sedotto dalla propria auto nuova da dimenticarsi il nome del figlio; un’anziana nonnina balla con i suoi amici scatenati in una festa in casa, solo per poter mettere alla prova, poi, il suo prodotto antipolvere prima che torni la figlia.

La pubblicità stimola e fa appello alle pulsioni adolescenziali di frivolezza, irresponsabilità, trasgressione e divertimento perché il consumatore, per essere tale, deve rivivere costantemente il proprio smarrimento identitario.

Non c’è libertà senza assunzione di responsabilità.

Responsabilità

Il concetto di responsabilità è generalmente offuscato da una connotazione grigia di pesantezza e costrizione. Di fatto, però, essere responsabili non significa altro che decidere in prima persona, cosa che tutti suppongono di fare, ma la questione è più complessa di quanto si creda.

Generalmente si è convinti di essere artefici delle proprie scelte, di vivere la propria vita, ma ci si illude. Molti non conoscono se stessi e si muovono nel mondo trasportati dagli eventi, credendo di parteciparvi attivamente. Vivono e muoiono senza aver neppure sospettato di essersi lasciati scippare la propria esistenza dalla propria pigrizia e arrendevolezza. Si cede agli eventi come giovani fanciulle inesperte che si ritrovano a rotolarsi tra le lenzuola, rapite dal proprio desiderio più che dalle capacità seduttive dell’uomo maturo che le possiede.

La mancata assunzione di responsabilità favorisce la manipolazione dall’esterno, ma non la giustifica. Senza tale assunzione si finisce per seguire una strada già tracciata solo perché è lì davanti, pronta e comoda.

Spesso chi si abbandona alla via già tracciata non si pone nemmeno il problema della responsabilità, ritenendola scontata o ininfluente nella propria esistenza. Chi si assume una responsabilità, prende in carico un impegno, cerca di prestare attenzione.

L’atteggiamento responsabile nei confronti della vita implica innanzitutto l’ascoltarsi, il conoscersi per comprendere i proprio bisogni e le proprie aspirazioni. Questa posizione di ascolto è la più naturale per produrre pensiero e consapevolezza e per porre lo sguardo verso i propri obiettivi. Di qui parte un percorso, che può essere stato già calpestato da altri o tutto da costruire.

Quando ci si immette in un cammino con queste premesse, si è pronti a reagire al cambiamento, ad affrontare gli eventi esterni e a modificare la propria mèta in corsa,con prontezza e senza paura. La presenza a se stessi è faticosa, ma è l’unica forma utile per vivere la propria vita da registi piuttosto che da attori.

Chi sceglie di affidare la regia ad altri si accontenta di un’esistenza parziale, facile e condivisa, incorrendo in una serie di inconvenienti spiacevoli come la noia, la rabbia, la paura di fare scelte sbagliate o di non essere accettati socialmente.

Chi tiene in mano la regia guarda il mondo dal suo interno. Chi la delega si sente perennemente osservato e cerca, perciò, di mettere una distanza infinita tra se stessi e il mondo per diventare sfumati. L’omologazione non è altro che un tentativo di sparire e di esistere allo stesso tempo. La propria esistenza emerge solo negli occhi degli altri e davanti ai propri occhi resta il vuoto incombente. Di qui la rabbia per l’incapacità di interessarsi e di appassionarsi così come di produrre interesse e passione. Lo sguardo degli altri diventa una droga, un bisogno letale da cui non ci si può affrancare e subentra la paura. Si teme di perdere il loro sguardo, ma anche di osservare se stessi in questa comoda prigione. Raramente si entra in contatto con se stessi, rimanendo come anestetizzati dal piacere generato dallo scorrere delle azioni.

Il sistema sociale favorisce questa posizione perché funzionale al buon andamento dell’economia e della sicurezza. La mancanza di controllo su se stessi consente di piegarsi agli spazi e ai ruoli voluti dalla società, come pasta frolla tagliata da uno stampino.

Anche chi è responsabile entra in questi limiti imposti, ma per fare dei tratti di strada più facilmente, tenendo sempre presente quali sono le proprie forme originarie e i propri obiettivi.

Il rapporto di chi è consapevole di se stesso con i ruoli della società è di tipo saprofita. Il virus entra nel sistema-corpo e lo modifica per la propria sopravvivenza. Il percorso ideale è assumere un ruolo, acquistare potere e consensi e modificare la struttura, il sistema. Non è facile, poiché molti, una volta entrati nel ruolo, vi si adagiano, privandosi della capacità di osservazione critica della realtà e di se stessi, in favore del piacere effimero prodotto dal consenso.